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21 luglio 2006

Wired News: Living Well Is the Best Revenge

Wired News: Living Well Is the Best Revenge
Vivere bene è la migliore rivincita.

Di Tony Long.

Mi sono stufato di correre come un topolino. Sono stanco di sbattermi per un soldino, stanco di lavorare per L'Uomo. L'America è un'infinita ruota da criceti verso l'oblio, dove apparentemente sei un vincente se muori mentre sei in possesso di una TV al plasma, di un mutuo gigante o di una moto BMW.

Deve esserci rimasto un posto al mondo in cui un uomo può essere riflessivo anziché reattivo, in cui la pienezza è il conio del reame. Come Blake, mi piacerebbe baciare un po' di gioia mentre svolazza prima di abbandonare queste spire mortali. E non devo essere gonfio come un galeone Spagnolo per riuscirci.

Un tempo credevo che la mia salvezza fosse in Francia. Ah, i Francesi... loro sì che sanno come vivere. Quei magnifici caffè, quelle settimane di lavoro corte ed attraenti, la loro joie de vivre. I miei scaffali sono stipati da autori la cui mentalità Francese mi ha irretito fin dall'adolescenza. Wie Gott in Frankreich, "come Dio in Francia," è una frase Tedesca non certo priva di senso.

O forse, se la Francia non avesse funzionato, avrei potuto trasformarmi in uno Spagnolo indolente o in un sonnolento Italiano. Un mio amico, tornato di recente dalla Croazia, mi ha detto che adesso la costa Dalmata è la roccaforte del vivere semplice. Ma sono solo ragionamenti stupidi e romantici. Se è mai esistito un idillio Europeo, oggi non esiste più. Gli imperativi dell'economia globale, creati e alimentati da capitalisti pompati in ogni luogo, hanno messo un bel fermino.

Quindi, dove andare?

Vanuatu. Questo arcipelago nel Pacifico del Sud, che si stende fra 15 e 20° sud e rimane molto ad ovest delle Fiji e a nordest est della Nuova Caledonia è, in accordo con l'indice del Pianeta Felice, il paese più felice della Terra. Il criterio usato per determinare la felicità è basato sulla misura di quello che attrae quelli di noi con un battito cardiaco normale e delle ambizioni relativamente modeste per la vita.

L'indice, compilato da un ente progressista, la New Economics Foundation (una sorta di anti-Cato Institute), ha stabilito i suoi criteri per stilare una classifica fra 178 paesi usando l'economia classica: il rapporto costi/benefici.

Le nazioni venivano classificate in base alla generale soddisfazione della vita, l'aspettativa di vita e il loro impatto ambientale. L'ultimo parametro si riferisce alla quantità di terra necessaria a sostenere la popolazione rispetto a quanto possono gestire il relativo consumo di energia.

Secondo questo metro, dice il NEF, la prima è Vanuatu. Gli Stati Uniti, che lasciano dovunque la loro impronta ambientale taglia 54, si posiziona al 150°. E La Belle France ha totalizzato poco meglio, arrivando 129°. (La Germania, dato abbastanza interessante, è piazzata all' 81°, per cui dovrebbero riformulare la frase.)

in generale, i paesi del cosiddetto mondo civilizzato hanno fatto poco. Questo può essere attribuito di sicuro al modo in cui le nazioni industrializzate stanno sporcando il pianeta, ma chiunque viva in una grande città sa che qualunque sia la compensazione per lo stile di vita del Primo Mondo, non ci si fa caso per via dell'enorme pressione esercitata sugli individui -- economica, psicologica, ambientale.

E' il momento di riesaminare il modo in cui viviamo, per tornare ad impostare i nostri veri valori. E' una corsa continua verso il consumismo sfrenato, e siamo ai livelli massimi.

Alla domanda fatta dal giornale inglese Guardian sul perché pensasse che Vanuatu fosse il paese più felice della terra, Marke Lowen di Vanuatu Online ha detto, "La gente in genere è felice qui perché è molto soddisfatta con molto poco". Questa non è una società guidata dal consumismo. La vita qui è intesa come comunità e famiglia e benevolenza verso gli altri. E' un posto in cui non preoccuparsi troppo".

Sembra un po' la Tahiti di Gauguin prima che arrivassero i turisti. Una casa modesta, aperta alla brezza di mare, con librerie a tutta parete (e acqua corrente) sembra un sogno. E con Noumea alla distanza di un'isola, posso sempre piombare al caffè Francese quando mi pare.

Io sarei felice. Tu lo saresti?

Potremmo andare tutti a Vanuatu, cosa che senza dubbio agiterebbe gli isolani e manderebbe a farsi fottere il paradiso. Oppure possiamo fare tesoro delle parole di Lowen, stare dove siamo, e imparare ad essere soddisfatti con un pochino meno.

Translated from Wired

16 luglio 2006

InformationWeek | Firefox | 5 Tools To Bulletproof Firefox | luglio 14, 2006

InformationWeek | Firefox | 5 Tools To Bulletproof Firefox | luglio 14, 2006

Five extensions:
1) Noscript - do not install unless you know what you're doing.
2) Siteadvisor - not bad at all.
3) Netcraft toolbar - good waiting for the built-in anti-phishing tool.
4) Clear private data - I haven't installed it. It is not about having something to hide (I think you have the right to encrypt and delete your data expecially if you have nothing to hide). Just I use my history and my saved passwords very often and burning bridges every time would be annoying.
5) Password maker - not installed. The password generators are for users only (no pun intended).

Men of honor: 2

Aiuto nostromo di seconda classe Carl Brashear, 9 ore e 31 minuti.
Assemblaggio perfetto.

Bosun's Mate Second Class Carl Brashear, nine hours, thirty-one minutes.
Perfect assembly.

15 luglio 2006

Can leaving a baby to 'cry it out' cause brain damage? | The Register

Can leaving a baby to 'cry it out' cause brain damage? | The Register

Da fonti attendibili sembra che lasciare piangere i bimbi fino allo sfinimento possa causare loro un danno cerebrale (dovuto al cortisolo prodotto per lo stress).

"Lasciare che un bimbo pianga allo sfinimento è probabile che in futuro venga considerato come una violenza verso i bambini."

Dunque non è facile prenderci: se li consoli sempre vengono su viziati, se non lo fai li danneggi. Inutile dire che i miei li ho viziati dieci minuti dopo essere usciti dalla maternità.

Buona notte.

11 luglio 2006

Xcode

I've never done "Hello, World!" in less time.


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09 luglio 2006

Addestramento coniugi

Cosa ho imparato da Shamu riguardo ad un matrimonio felice.
di Amy Sutherland


Sto lavando i piatti sull'acquaio, quando mio marito cammina nervosamente dietro di me, visibilmente irritato. "Hai visto le mie chiavi?" sibila infastidito, quindi sbuffa e zompa qui e là con il nostro cane, Dixie, ansioso per il nervosismo del suo umano preferito.

In passato avrei fatto come Dixie. Avrei chiuso il rubinetto e mi sarei unita alla caccia e nel frattempo avrei cercato di lenire le pene di mio marito con un frase calmante tipo "Non preoccuparti, vedrai che salteranno fuori." Ma questo non avrebbe fatto niente se non renderlo più nervoso, e una banalità come perdere le chiavi sarebbe presto degenerata in un drammone con protagonisti noi due e un povero cane nervoso.

Ora invece mi concentro sul piatto bagnato fra le mie mani. Non mi volto nemmeno. Non dico una parola. Uso una tecnica imparata da un addestratore di delfini.

Io amo mio marito. E' una persona colta, avventurosa, e ha un modo peculiare di parlare con l'accento del Vermont settentrionale che ancora a fare breccia dopo 12 anni di matrimonio.

Ma tende anche ad essere sbadato, ed è spesso indolente e lunatico. Bazzica in cucina chiedendomi se io abbia letto questo o quel pezzo sul New Yorker proprio quando cerco di concentrarmi sulle pentole che bollono. Lascia in giro fazzoletti usati. Soffre di crisi di sordità maritale ma non manca mai di captarmi se sto mormorando qualcosa fra me e me dall'altra parte della casa. E grida: "Hai detto qualcosa?".

Questi piccoli fastidi non sono fra quelle cose che portano alla separazione e al divorzio, ma dài e dài hanno cominciato ad appannare i miei sentimenti per Scott. Io volevo - dovevo - portarlo un po' più vicino alla perfezione, trasformarlo in un partner che mi desse un po' meno fastidi, che non mi facesse aspettare al ristorante, qualcuno un po' più facile da amare.

Così, come molte mogli prima di me, ho iniziato ignorando un'intera libreria di consigli e mi sono messa a cercare di migliorarlo. Come? Scocciandolo, ovviamente, la qual cosa non ha fatto che peggiorare i suoi comportamenti: guidava più forte, si faceva la barba meno spesso o non se la faceva affatto; lasciava la sua tenuta da ciclista sul pavimento del bagno anche per più tempo di prima.

Andammo da una consulente coniugale per arrotondare gli spigoli del nostro matrimonio. Lei non capì cosa ci facessimo lì, e si complimentò ripetutamente sul modo in cui noi comunicavamo. Mi arresi. Immaginavo che avesse ragione - la nostra unione era molto salda - e mi ero rassegnata ad anni di tiepido risentimento e di sarcasmi occasionali.

Poi successe qualcosa di magico. Per scrivere un libro riguardo ad una scuola per addestratori di animali, iniziai a fare la pendolare fra il Maine e la California, dove passavo i miei giorni osservando gli studenti fare l'impossibile: insegnare alle iene a fare le piroette a comando, insegnare ai puma ad offrire i loro cuccioli per tagliare le unghie, e insegnare a fare skateboard ai babbuini.

Io rimasi ad ascoltare, rapita, quando gli addestratori professionisti spiegavano come facessero ad insegnare ai delfini a saltare e agli elefanti a dipingere. Finalmente realizzai che le stesse tecniche potevano funzionare anche sulle specie più testarde ed adorabili, il Marito Americano.

La lezione principale che appresi dagli addestratori di animali esotici è di ricompensare i comportamenti che mi vanno bene e ignorare quelli che non mi aggradano. Dopo tutto, non si insegna ad un leone marino a tenere la palla in equilibro sul naso scocciandolo. La stessa cosa vale per il Marito Americano.

Tornata nel Maine, cominciai a ringraziare Scott ogni volta che metteva una camicia sporca nel portabiancheria. Se gliene metteva due, gli davo un bacio. Nel frattempo, avevo deciso che avrei calpestato tutti gli indumenti sporchi per terra senza proferire verbo, anche se ogni tanto li calciavo sotto il letto. Ma appena colse la mia approvazione, il mucchio di panni si ridusse.

Usavo un metodo che gli addestratori chiamano "approssimazioni", ricompensando i piccoli passi verso un comportamento del tutto nuovo. Non puoi aspettarti che un babbuino impari a fare le capriole in una sola lezione, come non puoi aspettarti che il Marito Americano cominci a raccogliere regolarmente i suoi calzini sporchi semplicemente ringraziandolo per aver tirato su un calzetto. Con i babbuini prima li ricompensi per un salto, poi per un salto più grande, poi per uno ancora più grande. Con il Marito Scott, iniziai a lodare ogni piccola azione ogni volta: se guidava anche solo di un chilometro all'ora più piano, se buttava un paio di pantaloncini nel cesto dei panni sporchi, o per qualsiasi occasione in cui era in orario.

Cominciai quindi ad analizzare mio marito come farebbe un addestratore con un animale esotico. Gli addestratori illuminati cercano di imparare tutto ciò che possono riguardo a quella specie, dall'anatomia alla struttura sociale, per capire come pensino, cosa piaccia e cosa non piaccia loro, cosa riesca loro facile e cosa no. Per esempio, un elefante è un animale sociale, per cui è abituato alla gerarchia. Non salta, ma può reggersi sulla testa. Ed è vegetariano.

L'animale esotico conosciuto come Scott è un solitario, ma è un maschio alfa. Quindi la gerarchia gli importa, mentre non gli importa di stare in gruppo. Ha una discreta preparazione atletica, ma si muove lentamente, specialmente mentre si veste. Sciare gli viene naturale, ma non l'essere in orario. E' un onnivoro, ed è quello che un addestratore definirebbe motivato dal cibo.

Non appena cominciai a pensarla in questo modo, non riuscii più a fermarmi. Alla scuola in California, prendevo nota di come si porta a spasso un emù o come ci si fa accettare d un lupo come membro del branco, ma intanto pensavo "non vedo l'ora di provarlo su Scott."

Durante una esperienza sul campo con gli studenti, ebbi modo di assistere ad un addestratore professionista mentre descriveva come avesse fatto ad insegnare a delle gru coronate a smettere di atterrare sulla sua testa e le sue spalle. Ci riuscì addestrando i trampolieri ad atterrare su tappetini stesi a terra. Questo, spiegò, è quello che viene chiamato un "comportamento incompatibile," un concetto semplice ma brillante.

Piuttosto che insegnare alle gru di smettere di atterrare su di lui, l'addestratore insegnò agli uccelli qualcos'altro, un comportamento che rendesse impossibile il comportamento non desiderabile. Gli uccelli non potevano atterrare sul tappetino e su di lui contemporaneamente.

A casa, sfruttai i comportamenti incompatibili per tenere Scott fuori portata mentre cucinavo. Per attirarlo lontano dal piano cottura, preparavo del prezzemolo da tritare o del formaggio da grattare all'altra estremità della cucina. Oppure mettevo in bella mostra una ciotola con patatine e salsa. La cosa funzionò subito: niente più Scott che mi aleggiava intorno mentre cucinavo.

Seguii quindi gli studenti al SeaWorld di San Diego, in cui un addestratore mi introdusse il concetto di Sindrome della Conferma Minima (least reinforcing syndrome, L.R.S.). Quando un delfino fa qualcosa di sbagliato, l'addestratore non reagisce in alcun modo. Aspetta alcuni secondi, facendo ben attenzione a non guardare il delfino, quindi ricomincia il lavoro. L'idea è che qualsiasi reazione, positiva o negativa, alimenti un comportamento. Se un comportamento non provoca nessuna reazione, tipicamente scompare da solo.

A margine delle mie note scrissi, "Provare su Scott!"

Fu solo questione di tempo perché tornasse rastrellando la casa in cerca delle sue chiavi, al che non dissi nulla e continuai a fare quel che stavo facendo. Occorse un bel po' di disciplina per mantenere la calma, ma i risultati furono immediati e sorprendenti. Il suo nervosismo si smorzò molto al di sotto della sua tipica furia e svanì come un temporale estivo. Mi sentivo come se gli avessi tirato un baccalà.

Ci risiamo; lo sento sbattere un cassetto, razzolare in mezzo alla carta in una cassa nell'ingresso e poi salire le scale. Io, ferma al lavello. Quindi, com'è ovvio, tutto torna in silenzio. Un attimo dopo, entra in cucina con le chiavi in mano e dice calmo, "Trovate."

Senza voltarmi rispondo, "Grande, a più tardi."

Ed esce con il nostro cane, molto più calmo.

Dopo due anni di addestramento di animali esotici, il mio matrimonio fila molto più liscio, mio marito è più facile da amare. Una volta prendevo le sue mancanze sul personale; i suoi vestiti sporchi per terra erano un affronto, un segno di quanto poco ci tenesse a me. Ma pensando a mio marito come ad una specie esotica mi ha dato la giusta distanza per considerare le nostre differenze in maniera molto più oggettiva.

Ho adottato il motto degli addestratori: "Non è mai colpa dell'animale." Quando i miei tentativi di addestramento andavano a vuoto, non ne attribuivo mai la colpa a Scott. Invece escogitavo nuove strategie, pensavo ad altri comportamenti incompatibili e usavo approssimazioni più piccole. Sezionai il mio stesso comportamento, cercando di capire come certe mie azioni alimentassero le sue. Imparai anche ad accettare alcuni comportamenti troppo radicati, troppo istintivi per disimpararli. Non puoi impedire ad una talpa di scavare, e non puoi fermare mio marito dallo smarrire portafoglio e chiavi.

I PROFESSIONISTI citano casi di animali che comprendono l'addestramento a tal punto che finiscono per usarlo con l'addestratore. Il mio animale fece lo stesso. Quando le tecniche di addestramento funzionarono a meraviglia, non resistei dal dire a mio marito tutto quanto. Lui non si offese, anzi, ascoltò divertito. Mentre spiegavo tecniche e terminologie, lui assorbiva. Molto più di quanto non avessi immaginato.

Lo scorso autunno, nella mezza età inoltrata, ho scoperto che avevo bisogno di un apparecchio per i denti. Non era solo un'umiliazione, ma anche una tortura. Per settimane le mie gengive, i miei denti, la mandibola e i seni nasali vibravano in modo innaturale. Mi lamentavo spesso a voce alta. Scott mi rassicurava dicendomi che avrei fatti l'abitudine ad avere del metallo in bocca. Non successe.

Una mattina, mentre mi lanciavo nell'ennesima tirata su quanto fossi a disagio, Scott si limitò a guardarmi in modo neutro. Non disse una parola di comprensione né di dissenso ai miei lamenti, nemmeno un cenno col capo.

Presto la mia rabbia si esaurì e se ne andò. Quindi capii cosa stava succedendo, mi girai e chiesi, "Stai applicando la L.R.S.?" Silenzio. "Non è così?"

Alla fine mi sorrise, ma la sua L.R.S. aveva già agito. Cominciò quindi ad addestrare me, la Moglie Americana.


Translated from The New York Times through LifeHacker


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01 luglio 2006

How NOT to translate a website

I would like to share this letter I sent to LifeHacker after TheInquirer definitely p*ssed their italian readers off. Needless to say, I am one of them. But instead of flaming, I decided to cook five rules about the site translation, nach Guy Kawasaki art.

Dear LifeHackers,
few days ago TheInquirer launched some local versions of their website. The italian version is poorly made and time expensive for the readers, expecially for the mandatory redirect to the local version. Most of the italian readers are very upset.
Let's distillate 5 rules regarding how to translate a site.
1) Never translate a news site if you can't keep it updated.
In a news site I like to read the future, not the past. A three days old news is either useless or would already have a dedicated page on Wikipedia.
2) Put on your original site a notice some days before switching.
Something like "If you don't live in Kenya, but the next Monday our page will be displayed in Kiswahili, please contact us".
3) Keep an easy way to come back to the original site.
Yes, to use INQ words, "it has [beep] a few of you multilingual chaps off". And do yourself a favor, correct your RSS feed *before* switching.
4) Put immediately a disclaimer on the local site.
"We're switching! Tell your friends. Send us feedback, etc.": otherwise the reader seems forced to switch. The local site must remain an option (see also: www.google.cn).
5) Make your readers feel involved.
Remember, your audience have usually a good english comprehension: why in the world will they switch to a translated version? Getting them involved. Put a "Help us translating" link, build up a wiki, let them contribute with a dedicated page to enhancement of the site.
The Inquirer is a great site anyway, and I like it very much.
Thanks for your concern. And don't switch us to lifehacker.it.
Decio