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23 novembre 2006

Good and Bad Procrastination

Good and Bad Procrastination



Questo saggio di Paul Graham è così bello che non ho potuto fare a meno di tradurlo.





Procrastinazione buona e cattiva.



Dicembre 2005



Tutte le persone impressionanti che conosco sono terribili procrastinatori. Come può essere che il procrastinare non sia sempre una brutta cosa?



In generale, chi scrive riguardo alla procrastinazione lo fa per cercare di curarla. Questo però è letteralmente impossibile. C'è un numero infinito di cose che potresti fare. Non importa su cosa si stia lavorando, non si lavora nel frattempo su qualcos'altro. Quindi la domanda non è come evitare la procrastinazione, ma come procrastinare bene.



Ci sono tre varianti di procrastinazione, che dipendono da cosa fai al posto che occuparti di una certa cosa: puoi fare (a) niente, (b) qualcosa di meno importante, o (c) qualcosa di più importante. L'ultimo tipo, suppongo, è procrastinazione buona.



E' il "professore con la testa fra le nuvole", che si scorda di radersi, o di mangiare, o magari anche di guardare dove va quando sta pensando a qualcosa di interessante. La sua testa è assente dalla quotidianità perché sta lavorando troppo duramente su qualcos'altro.



Questo è il senso del fatto che tutte le persone più impressionanti sono procrastinatori. Sono dei procrastinatori di tipo C: non si applicano sulle piccole cose perché lavorano sulle grandi.



Quali sono le "piccole cose?" Grosso modo, tutto quello che non ha speranza di essere citato nel tuo necrologio. E' difficile dire in anticipo quale sarà il tuo lavoro migliore (sarà il tuo magnum opus [in latino nell'originale, N.d.T.] sull'architettura dei templi Sumeri o quel romanzo del terrore che hai scritto sotto falso nome?), ma c'è comunque un'intera classe di attività che puoi tranquillamente scartare: raderti, lavare, pulire la casa, scrivere ringraziamenti-- tutto quello che può andare sotto il nome di faccende.



La buona procrastinazione è evitare le faccende per occuparsi del lavoro vero.



Vero in un certo senso, almeno. Le persone che vorrebbero farti fare le faccende non penseranno che sia una buona cosa. Ma probabilmente sono le stesse che devi scocciare quando vuoi che venga fatto qualcosa. Le persone più miti, se devono fare del lavoro vero, hanno tutte un polso piuttosto fermo quando arriva il momento di evitare le faccende.



Alcune faccende, come rispondere alle lettere, se ne vanno da sole se le ignori (probabilmente portandosi via gli amici). Altre, come falciare il prato, o fare la dichiarazione dei redditi, se le ignori tendono solo a peggiorare. In linea di principio non funziona ignorare il secondo tipo di faccende. Sono cose che alla fine ti toccherà fare. Perché (come recitano le formule di sollecito) non farlo adesso?



Il motivo per cui paga mettere da parte anche queste faccende, è che il lavoro vero richiede due cose di cui le faccende non necessitano: grossi blocchi di tempo e l'umore giusto. Se sei ispirato da qualche progetto, può essere una scelta vincente sbarazzarsi di tutto quello che avresti dovuto fare nei giorni successivi per lavorare su quel determinato progetto. Sì, quelle faccende potrebbero costarti più tempo nel momento in cui decidi di occupartene. Ma se riesci a fare un sacco di cose in quei giorni, il risultato netto è che sarai più produttivo.



In realtà, non è detto che sia una differenza di grado, ma di tipo. Ci possono essere tipi di lavori che possono essere fatti solo in periodo lunghi e senza interruzioni, quando si è ispirati piuttosto che diligentemente in piccole e precise scadenze. Empiricamente sembrerebbe essere vero. Quando penso a persone che conosco che hanno fatto grandi cose, non li immagino a spuntare in modo diligente la loro lista delle faccende, li immagino sgusciare via per lavorare su qualche nuova idea.



Al contrario, forzare qualcuno a fare le faccende in modo ripetitivo mette un limite alla sua produttività. Il costo di un'interruzione non è solo dovuto al tempo che prende, ma al fatto che spacca l'intervallo di tempo in due parti. Probabilmente basta interrompere qualcuno un paio di volte al giorno per renderlo del tutto inabile ad occuparsi di problemi di una certa complessità.



Mi sono chiesto parecchie volte perché gli startup siano più produttivi quando sono agli albori, quando sono solo due ragazzi in un appartamento. La ragione principale può essere che non c'è nessuno ad interromperli. In teoria è un bene quando i fondatori hanno abbastanza soldi per assumere gente per far fare loro parte del lavoro. Ma potrebbe essere meglio il superlavoro piuttosto che le interruzioni. Una volta che diluisci uno startup con ordinari lavoratori da ufficio-- con procrastinatori di tipo B-- l'intera azienda comincerà a risuonare alla loro frequenza. Loro sono guidati dalle interruzioni, e in breve lo diventi anche tu.



Le faccende sono così efficaci nell'assassinare grandi progetti che un sacco di gente le usa proprio per quello scopo. Qualcuno che decide di scrivere un romanzo, per esempio, si renderà improvvisamente conto del fatto che la casa ha bisogno di una pulita. Chi non riesce a scrivere un romanzo non lo fa stando seduto per giorni di fronte ad una pagina bianca senza scrivere niente. Lo fa dando da mangiare al gatto, andando a comprare qualcosa per la casa, incontrando un amico per un caffè, leggendo la posta. "Non ho tempo per lavorare," dicono. Certo che no; hanno fatto in modo che sia proprio così.



(C'è anche una variante in cui non si ha posto per lavorare. La cura è andare a visitare i posti in cui hanno lavorato personaggi famosi, e vedere con i propri occhi quanto fossero inadatti).



Io ho usato entrambe queste scuse qualche volta. Ho imparato un sacco di trucchi per farmi restare sul pezzo negli ultimi 20 anni, ma anche adesso è una battaglia che non sempre riesco a vincere. Certi giorni faccio il lavoro vero. Altri vengono fagocitati dalle faccende. E so che di solito è colpa mia: sono io che permetto alle faccende di papparsi la giornata, per evitare di occuparmi di qualche problema davvero difficile.



La forma più pericolosa di procrastinazione è quella ignara di tipo B, perché non sembra procrastinazione. Del resto stai "facendo delle cose." Semplicemente quelle sbagliate.



Qualsiasi consiglio sulla procrastinazione che si basi sullo spuntare righe sulla tua lista delle attività non solo è incompleto, ma anche fuorviante, se non tiene conto la possibilità che la stessa lista delle attività sia una forma di procrastinazione di tipo B. In realtà, "possibilità" è una parola troppo debole. Quasi tutti sono in questa condizione. A meno che tu non stia lavorando sulla cosa più grossa di cui ti potresti occupare, sei un procrastinatore di tipo B, indipendentemente da quante cose riesci a fare.



Nel suo famoso saggio "Tu e la tua ricerca" (lettura che consiglio a chiunque sia ambizioso, non importa di che campo ci si occupi), Richard Hamming suggerisce di fare a te stesso tre domande:



1) Quali sono i problemi più importanti nel tuo campo?



2) Stai lavorando su uno di quelli?



3) Perché no?



Hamming lavorava ai Laboratori Bell quando iniziò a porre queste domande. In linea di principio chiunque dovrebbe essere in grado si lavorare sui problemi più importanti nei rispettivi campi. Probabilmente non tutti possono tracciare un solco imperituro nel mondo; non ne ho idea; ma qualunque siano le tue capacità, ci sono progetti che le portano ai limiti. Quindi l'esercizio di Hamming può essere generalizzato come segue:



- Qual è la cosa migliore sulla quale potresti lavorare, e perché non lo fai?



La maggior parte delle persone si schermisce davanti a questa domanda. Anch'io lo faccio; la vedo sulla pagina e lesto lesto vado alla frase successiva. Hamming prese l'abitudine di andare in giro a chiedere la stessa cosa, e questo non lo rese molto popolare. E' una domanda però che chiunque sia ambizioso dovrebbe affrontare.



Il problema è che usando quest'esca può essere che tu finisca per prendere un pesce veramente grosso. Per fare un buon lavoro, hai bisogno ti trovare ben di più che buoni progetti. Quando li hai trovati, devi metterti a lavorarci su, cosa che può risultare difficile. Più il problema è grosso, più difficile è mettersi all'opera.



Ovviamente la ragione per cui risulta difficile lavorare su un particolare problema è che non piace. Quando sei giovane, in modo particolare, spesso ti ritrovi a lavorare su cose che non ti piacciono-- perché sembrano cose importanti, per esempio, o perché te l'hanno dato come compito. Molti studenti delle superiori si bloccano lavorando su grossi problemi che non li divertono affatto, e la scuola superiore è quindi sinonimo di procrastinazione.



Ma anche se ti piace quello su cui stai lavorando, è più facile mettersi a lavorare sui problemi piccoli piuttosto che su quelli grossi. Perché? Perché è così difficile lavorare sui problemi grossi? Una dei motivi è che potresti non ricevere mai una ricompensa per il tuo lavoro nel prossimo futuro. Se lavori su qualcosa che puoi finire in un giorno o due, ti puoi aspettare di poter assaporare piuttosto in fretta un certo senso di appagamento. Se la ricompensa è indefinitamente lontana nel futuro, sembra meno vera.



Un'altra ragione per cui non si lavora sui grandi progetti è, notate l'ironia, la paura di perdere del tempo. Che succede se falliscono? Tutto il tempo passato su di loro sarà stato sprecato. (In effetti è probabile che non sia sprecato, in quanto lavorare su progetti impegnativi porta quasi sempre da qualche altra parte.)



Ma quello che impedisce di occuparsi dei grandi problemi non può essere solo la non immediatezza dei risultati e la possibilità che sia tempo sprecato. Se fosse tutto qui, non sarebbe peggio di andare in visita dai tuoi suoceri. C'è di più. I grandi problemi sono terrificanti. Ad occuparsene si soffre quasi dolore fisico. E' come avere un aspirapolvere agganciato alla tua immaginazione. Tutte le tue idee vengono risucchiate immediatamente, e non te ne restano più, e comunque l'aspirapolvere continua ad aspirare.



Non puoi guardare un grosso problema negli occhi in modo troppo diretto. Devi avvicinarti in un qualche modo obliquo. Ma devi aggiustare bene l'angolazione: devi affrontare i gradi problemi in maniera abbastanza diretta da riuscire a fare tuo parte dell'eccitazione che irradia da questo, ma non così tanto da paralizzarti. Puoi stringere l'angolo quando ci sei, come una barca inclina la vela sempre più verso il vento una volta che ha preso la bolina.



Se vuoi lavorare sulle grandi cose, pare che tu debba ingannare te stesso per poterlo fare. Dei lavorare sulle cose piccole che possono in seguito maturare in cose grandi, o lavorare su cose progressivamente più grandi, o dividere il carico psicologico con i collaboratori. Non è un segno di debolezza dipendere da questi trucchi. Molti fra i lavori migliori sono stati fatti in questo modo.



Quando parlo con persone che sono riuscite a constringersi a lavorare sulle grandi cose, ho scoperto che tutti avevano tagliato le faccende, e che si sentivano colpevoli per averlo fatto. C'è più da fare di quanto chiunque potrebbe. Quindi chi svolge al meglio il proprio lavoro è inevitabile che lasci un sacco di faccende in sospeso. Sembra uno sbaglio sentirsi in colpa per questo.



Penso che il modo per "risolvere" i problemi di procrastinazione sia lasciarsi tirare delicatamente al posto che fare una lista di cose da fare. Lavora su un progetto ambizioso che ti piace veramente, e naviga più attaccato al vento che puoi, e lascerai indietro le cose giuste.



Grazie a Trevor Blackwell, Jessica Livingston, and Robert Morris per avere letto la bozza.







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5 commenti:

Unknown ha detto...

Riccardo Chiaberge scrive così nell'inserto domenicale de "Il sole24ore":
Mañana. Prima di Aznar e Zapatero, noti entrambi per il loro decisionismo, era considerata una prerogativa degli spagnoli quella di rispondere, invariabilmente, “domani” a chiunque pretendesse una ragionevole solerzia nell’onorare gli impegni. Ma questo vizio non conosce limiti geografici né temporali. Il primo a dire mañana, anzi cras (alla latina) fu Quinto Fabio Massimo Verrucoso, console romano passato alla storia con il soprannome di Cunctator, il Temporeggiatore. Temporeggiare, posticipare, dilazionare, procrastinare è un andazzo molto diffuso anche ai giorni nostri, a dispetto di chi si lamenta del ritmo frenetico della civiltà tecnologica. Sul quotidiano canadese “Toronto Star” leggiamo che uno psicologo di Calgary, tale Piers Steel, ha appena pubblicato un monumentale studio sul fenomeno. Di “procrastinite cronica” soffre all’incirca il 20 per cento della popolazione, e trattasi di un vero e proprio disturbo psichico. Una forma di comportamento autodistruttivo paragonabile alla tossicodipendenza e al gioco d’azzardo. Se siete dei temporeggiatori abituali – avverte Steel – non cercate di consolarvi (o nobilitarvi) con l’alibi del perfezionismo. Non è vero che uno rimanda le cose importanti perché le vuol fare a regola d’arte. Il vero movente è l’insicurezza, la paura di non riuscirci. Resta da capire perché in quel 20% i politici siano così sovrarappresentati., con un’equa distribuzione tra destra e sinistra. Pensiamo a quante volte i capi della Lega Nord hanno annunciato la secessione. O ai reiterati solenni propositi sull’alta velocità, sul MOSE o sulla tangenziale di Mestre. O ai continui slittamenti di liberalizzazioni e riforme, alle infinite proroghe di sanatorie e condoni. Il recente vertice di maggioranza a Caserta avrebbe mandato in sollucchero il professor Steel, tanta era la concentrazione di procrastinatori e di rinvii, dalle pensioni ai Pacs. Ma il più Cunctator di tutti è forse il ds Fabio Mussi, Ministro dell’Università: non solo e non tanto sul futuro degli atenei e dei laboratori di ricerca, che ancora aspettano da lui qualcosa di sinistra (o semplicemente qualcosa), ma soprattutto sull’ampliamento della base americana di Vicenza: “La discussione è aperta – ha detto ieri il ministro. – Certo poi si dovrà decidere, ma intanto vediamo”. Da Fabio Massimo a Fabio Mussi(mo): passano i secoli e i regimi ma i malvezzi restano.

Unknown ha detto...

perfezionismo, irresolutezza, insicurezza...irresponsabilità... per quanto mi consta,la procrastinazione è un aspetto specifico della vigente teoria delle desioni in voga nelle aziende e in politica, in realtà: quando, cadute tutte le alternative, solo una soluzione sarà possibile, sceglierla sarà inevitabile: perciò, nè colpa, nè errore! nel frattempo, chi non fa non falla e si tiene a galla. Non perchè emulo di Oblomov, ma perchè, inquadrato e coperto, può farsi scudo dell'aurea mediocrità che non espone a critiche o rappresaglie, non genera invidia, non produce nemici.
E se la definissimo psico-de-pallizzazione?

Decio Biavati ha detto...

Una posizione rispettabilissima, leader-senza-profilo-consultabile.

In effetti in generale, almeno nel pezzo di mondo che ho visto io, la procrastinazione viene usata come pretesto (ch'i la slonga i la scapa - chi la rimanda la scampa).

Non dimentichiamo però che dare a ciascuna attività la giusta priorità significa procrastinare quelle meno urgenti a favore di quelle più urgenti.

Invece, per cercare di scongiurare la psico-de-pallizzazione (PDP), ecco che tutto deve diventare importante e urgente, in modo da sopperire all'incompetenza decisionale con gli sforzi.

Come in altri casi, la via di mezzo è la migliore: usare la procrastinazione come uno strumento senza che si trasformi in PDP.

Grazie per il tuo commento (e per la citazione su Oblomov!)

Anonimo ha detto...

good start

Anonimo ha detto...

Perche non:)